Control: Remedy torna alla carica facendolo senza dubbio con grande stile!


Recensione a cura di Daniele “KingpinZero” Fiorentini


Remedy, per molti è un sinonimo di qualità. L’azienda finlandese che ha dato i natali a Alan Wake, ma ancor prima a Max Payne, iconico gioco che coronava ufficialmente il bullet time nel mondo videoludico. E di Max Payne sicuramente ricordiamo il volto, quello di Sam Lake, che oltre a dare un’identità al nostro eroe, è la penna che firma sceneggiature e regia di molti titoli dell’azienda, essendo il Creative Director.

La sua capacità di raccontare filoni di storie intrecciate, che danzano sinuosamente tra il paranormale e il cultismo fanatico, riescono sempre a tenere il fruitore incollato al prodotto, che intento a scoprire sottotrame e plot-twist assortiti, rimane estasiato dalla profondità di alcune sfaccettature.

Dopo una torbida ricezione della loro precedente fatica, Quantum Break (titolo a metà tra l’action game e una serie tv episodica, connubio non sempre funzionale a causa dei limiti tecnologici attuali), tornano a distanza di tre anni con Control, avventura super-paranormale che narra delle vicende di fratello e sorella, Jesse e Dylan, alle prese con la loro vita a di poco speciale. Eccovi quindi la nostra recensione, più spoiler-free possibile, sui pro e i contro dell’ultima fatica della casa finlandese.


Everything is (not) under Control


Jesse e Dylan hanno avuto una vita felice fino ad un certo punto della loro infanzia, fin quando hanno trovato un proiettore in un vecchio garage. Incuriositi dalle diapositive che esso mostrava, presto si resero conto che le queste in realtà erano finestre su mondi paralleli, mondi con cui potevano interagire a piacimento.

Questo fenomeno ad opera di un oggetto così comune come un proiettore “marchiò” a vita i due fratelli, che scoprirono di essere dotati di poteri paranormali donati dall’interazione con esso, finendo per per visionare sempre più e più diapositive, fino a che la manifestazione di tale oggetto del potere non suscitò la curiosità della FBC, Federal Bureau of Control, che isolò completamente la piccola cittadina di Ordinary, nel Wisconsin per portare con sé sia loro che il proiettore (insieme a intere porzioni della città).

Da lì in poi i fratelli furono separati e vissero vite relativamente turbolente; da una parte Jesse, la nostra “eroina” (interpretata dalla meravigliosa Courtney Hope, già protagonista in Quantum Break e attrice della soap opera Beautiful e dei film della saga di The Divergent), che per via di quanto accaduto passò molto tempo dentro e fuori istituti psichiatrici, e Dylan, che invece fu selezionato dalla FBC come nuovo “Direttore”, diventando il candidato P6, ma facendo perdere le sue tracce.

Jesse, ormai diventata adulta, decise di seguire il suo forte desiderio di trovare il fratello scomparso, anche mossa da un’entità, la stessa che gli ha donato i poteri, chiamata “Polaris”; essenza paranaturale a cui lei di continuo si rivolge nei suoi pensieri, nel suo subconscio, nei suoi ragionamenti.

La ricerca del fratello la porta a New York, presso la sede della FBC, location alquanto bizzarra poiché, come si intuisce nelle prime fasi di gioco, non è visibile a persone normali. Oldest House, questo il nome dell’edificio, all’apparenza risulta moderno e tipicamente in linea con le istituzioni federali americane; tuttavia nonostante l’edificio di generose dimensioni sia piuttosto contenuto, il suo interno è infinitamente più grande, profondo e articolato, tanto da non essere quantificabile.

La struttura infatti si estende per vari piani e livelli, dalla grandezza quasi infinita, particolarità che definisce proprio l’edificio, che altri non è che un enorme oggetto del potere, dove niente è come sembra. Questo crediamo sia più che sufficiente per destare in voi un briciolo di curiosità, anche perché accennare solo alcuni dei punti principali della storia significherebbe spoilerare senza pietà.

Dovete infatti sapere che in puro stile Sam Lake e Remedy, la storia di Control non vi sarà chiara almeno fino alla metà del titolo, dove grazie alle missioni principali, ai documenti e alle side quests, i punti cominciano a collegarsi tra di loro e a trovare un senso.

Se avete apprezzato le sceneggiature dei precedenti titoli Remedy, Control non farà altro che farvi letteralmente impazzire, con la capacità di instillare una discreta “fame” di scoperta nel giocatore che, una volta ingaggiato a pieno regime nei panni di Jesse, si vedrà sempre più mosso dalla voglia di fare luce sui segreti celati dietro le vicende dei due fratelli e dell’agenzia. Chapeau, Remedy.


Sorry Jesse, but your Prince is in another castle


Come detto, Control si svolge completamente, solo ed esclusivamente dentro l’agenzia, tra le sue infinite pareti e i vari strati di realtà contrapposte e parallele che ne formano l’essenza. La visuale inizialmente avrà bisogno di confidenza da parte del giocatore; è in terza persona, ma posta ben più alta delle spalle di Jesse, con un angolo di visione particolare, che spesso restituisce l’effetto “miniatura”, specialmente negli spazi stretti.

Al contrario, invece, nelle enormi sezioni che andremo a visitare essa si presta in maniera eccellente e permette con rapidi colpi d’occhio di avere subito una visione globale e d’insieme delle aree più vaste. Se dovessimo descrivere Control, dal punto di vista di come sono strutturati gli ambienti, potremmo definirlo a tutti gli effetti un Castlevania (o Metroidvania); l’agenzia, infatti, è un singolo e enorme edificio, con varie aree interconnesse tra di loro (con tanto di save and upgrade point, teletrasporto) che fanno riferimento ad un Hub centrale, dove alcuni degli NPC ci aspettano.

Per accedere a molte di queste aree, che visiteremo in maniera accennata anche inizialmente, saranno necessarie nuove skill (levitazione, telecinesi etc.) e keycard; così come accade religiosamente in Castlevania e Metroid, lo sblocco di nuove abilità ci consentirà, qualora lo volessimo, di fare backtracking per accedere ad aree altrimenti inaccessibili, per scoprire segreti,ulteriori abilità e upgrade armi.

L’armamentario a disposizione di Jesse sembra apparentemente semplice e poco complesso nelle prime fasi. Ciò che sappiamo, almeno nei primi istanti di gioco, è che la pistola che andremo ad usare funziona solo ed esclusivamente se impugnata dal “Direttore” dell’agenzia ed, essendo un oggetto del potere, non è come sembra.

Tra le sue particolarità, può trasformarsi e variare la sua forma diventando un’altra arma con scopi e utilità totalmente differenti dalla sua forma base. E’ qui che Control ci rivela un gradito aspetto della sua meccanica: infatti combattendo contro i vari nemici (battezzati da Jesse come “Hiss”, per via del suono che emettono) essi lasceranno a terra modifiche e componenti, come un buon loot&shooter che si rispetti, con attributi e statistiche totalmente random.

Possiamo quindi equipaggiare in uno dei tre slot arma, sempre previo sblocco di tale possibilità, le“modifiche” che abbiamo raccolto, lasciandoci anche la scelta di smontarle per recuperare altri componenti da crafting.

Presso i save point, oltre a poterci spostare (come accennato in precedenza) di luogo in luogo, è possibile anche accedere ad una sorta di vetrina/shop interna al gioco, che offre randomicamente modifiche per armi, con l’aggiunta di due opzioni: potete infatti effettuare un refresh dell’assortimento oppure un upgrade al livello delle modifiche, fino al raggiungimento del massimo possibile.

Da quel momento in poi saranno rilasciate dai nemici, casualmente, fino al livello a cui sono state portate. La diversità degli ambienti, la loro verticalità e profondità permette al giocatore di immergersi sempre in contesti diversi e, soprattutto, di fargli costantemente dimenticare che siamo pur sempre in un unico edificio, l’Oldest House.

Giocando la carta del luogo “incantato”, Remedy è riuscita ad estrapolare da un setting puramente blando come quello di un’agenzia federale, mondi totalmente paralleli, piramidali e opposti, che cambiano forma e mutano (come quando si “libera” una certa zona, vedrete di cosa parlo se lo giocherete) in tempo reale.

Il divertimento vero e proprio poi trova la sua forma perfetta nella distruttibilità dell’ambiente: grazie ai poteri di Jesse e all’engine grafico Northlight, sarà possibile dare sfogo alle nostre fantasie di distruzione più represse rimanendo impressionati da quanto e cosa è effettivamente possibile polverizzare.

Dalle scrivanie ai distributori, dalle vetrate a muri e colonne di cemento, anche non volendo vi troverete a spazzare via intere porzioni di ambienti a causa dell’azione che non mancherà mai. E di pari passo, grazie al potere della telecinesi, di questi elementi potrete sfruttare ogni loro componente da lanciare comodamente in faccia al nemico di turno. Comodo no? Armi fantastiche e dove trovarle!

Il comparto sonoro è per lo più discreto, con scelte musicali azzeccate e ben posizionate all’interno di sezioni specifiche che meritano un determinato mood sonoro; è pur vero, però, che per la maggior parte dell’esplorazione non lasciano il segno, quasi passano inosservate. Dal punto di vista degli effetti sonori, niente da dire, fanno il loro lavoro nella genericità che hanno, sample sentiti e risentiti probabilmente provenienti da solide radici di dominio pubblico.


It is the End (?)


Lascio quest’ultima parte a tutto quello che non ho potuto inserire onde evitare giganti spoiler, cose che posso accennare in breve e alle conclusioni. In puro stile Alan Wake e in particolar modo Quantum Break, molte cutscenes e “sequenze video”sono realizzate con attori in carne ed ossa.

Il taglio cinematografico della regia predilige close up della nostra eroina, inquadrando generalmente zigomi, naso e occhi quando parla nei suoi pensieri,che siano questi riflessioni personali o breve chiacchierate con Polaris. Generalmente parlando, visto la natura dell’inquadratura dei dialoghi, le animazioni facciali passano dal superbo (Ahti, Jesse) al passabile; un vero peccato, è quel poco di stacco che può far storcere il naso.

Tale scelta mette in luce un livello di dettaglio veramente elevato: tenete conto che, nonostante queste scene siano totalmente renderizzate in real time, la regia “modifica” per ragioni ovviamente di pathos la scena, favorendo toni più scuri che conferiscono una maggiore profondità di campo, migliore occlusione ambientale e luci proiettate più morbide.

Sarà possibile, inoltre, distinguere rughe, nei e segni particolari della pelle, cosa che ci ha fatto particolarmente impressionare positivamente. Curiosa la scelta di alcuni tagli di inquadratura per mostrare il contenuto come quello di alcune vecchie VHS, che verranno visualizzate nello splendore di quei vecchi CRT “combi”, con tanto di lettore integrato nella base.

E questo ci porta ad un altro aspetto curioso; nonostante la lobby dell’agenzia risulti ovviamente moderna e in puro stile federale (dai documenti sparsi nel gioco, e ve ne saranno tantissimi, ne spunta uno che fa divieto di introdurre dispositivi “Smart” nell’agenzia), l’interno della Oldest House sembra essere rimasto fermo all’epoca d’oro dello sviluppo tecnologico, gli anni ‘70.

Vecchi terminali a fosfori verdi, vecchie caffetterie dallo stile puramente da Diner americano degli anni‘50, pannelli di controllo usciti dalla guerra fredda con grandi maniglioni rotondi e valvole presenziano molti degli ambienti, con questa continua contrapposizione tra nuovo e vecchio, tra passato e presente, come la natura stessa della sceneggiatura. Accenniamo, infine, il supporto RTX: Control sembra essere un esercizio di tecnica, un gioco nato intorno alla tecnologia di Ray Tracing Nvidia, che assieme al DLSS arriva già alla seconda incarnazione.

Enormi vetrate che separano i cubicoli, così, non saranno più anonime: riflettono perfettamente l’ambiente, compresa Jesse ed eventuali NPC, fogli di carta, particelle e detriti. Lo stesso si applica ad altre tipologie di superfici, come pavimenti, piastrelle, muri, materiali minerali e così via.

La proiezione di ombre dovute dalle sorgenti di luce è in tempo reale, creando un fenomeno di occlusione ambientale non sempre realistico, a dire il vero, ma gradevole. La quantità di detriti e particelle, accennate prima nella distruttibilità degli ambienti, sono affidate a Nvidia Physix, di cui abbiamo già abbondantemente apprezzato le potenzialità in questi anni.


In Conclusione


Per concludere, Control è un buon titolo, discretamente appagante, che eccelle in molti punti risultando però, allo stesso tempo, grezzo e blando in altri. La sapiente penna del Creative Director, Sam Lake, si vede e si sente; il suo stile inconfondibile che adora gettare nella confusione più totale il fruitore, per poi man mano ricollegare punti lasciati aperti, di cui non rimembrate nemmeno l’esistenza, è magistrale.

Affiancato da un gameplay non sempre all’altezza, il carisma dei due personaggi principali e di alcuni NPC (Ahti in particolare, interpretato da Martti Suosalo) di sicuro compensano con i lati deboli dell’ultima produzione Remedy. Lo sviluppatore inoltre rende noto l’arrivo di DLC che espanderanno la storia e l’Oldest house, non escludendo che alcuni di essi siano spin-off dedicati ai personaggi più importanti.

Dopo averlo giocato in lungo e largo, ci sentiamo di consigliarlo per chi vuole una buona dose di mistero, avventura e azione, di quella dall’inconfondibile sapore finlandese.



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