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Proseguiamo con la terza parte del percorso già trattato in precedenza riguardante gli interessanti aspetti della nanotecnologia per l’elettronica di consumo. Di seguito verranno presentati i nanotubi di carbonio, una nuova struttura del carbonio molto versatile. Analizzeremo pertanto le proprietà, alcuni metodi di analisi e le varie applicazioni possibili nei vari campi dell’elettronica.
La prima parte è disponibile qui mentre la seconda qui.
Nanotubi di carbonio
1. Introduzione
I nanotubi di carbonio vennero scoperti nel 1985 da Richard Smalley: le strutture dei fullereni[1], se sottoposte a rilassamenti, possono formare strutture cilindriche cave e quindi generare una nuova forma allotropica del carbonio.
Le prime ricerche su “fibre grafitiche” risalgono al 1952 e sono da attribuire a scienziati russi. L’utilizzo di questa lingua per la pubblicazione ne ostacolò però la diffusione nel mondo. Altre ricerche sono state effettuate più tardi, nel 1991, dalla NEC Corporation.
2. Struttura
Il diametro di un tubo è compreso tra 0.7 e 10 nm, mentre la lunghezza di un singolo tubo può arrivare anche a diversi centimetri. Il più lungo nanotubo osservato è infatti lungo 18.5 cm.
I nanotubi quindi possiedono la stessa struttura ad esagoni, con pentagoni soltanto nelle zone in cui si ha un ripiegamento e quindi una chiusura del tubo. Questa particolare proprietà viene utilizzata per creare vere e proprie nanoprovette.
I nanotubi esistono in due forme: Single-Walled Carbon NanoTube e Multy-Walled Carbon NanoTube. Essi sono quindi formati da uno o più fogli grafitici avvolti su se stessi. Nei MWCNT i fogli sono avvolti coassialmente l’uso sull’altro.
Contrariamente a quanto si può pensare, i MWCNT sono più facili da produrre e quindi meno cari dei SWCNT. I MWCNT hanno inoltre le stesse proprietà dei SW, ma incrementano notevolmente la resistenza ad agenti chimici.
I nanotubi possono anche essere ripiegati per formare nanotoroidi[2]. Questa particolare forma allotropica consentirebbe di avere momento magnetico molto alto, dipendente dal raggio del toroide.
Numerose microscopie hanno permesso di confermare la particolare struttura dei nanotubi: attraverso SEM e TEM[3] è stato possibile osservare le cavità dei filamenti e l’elevato volume occupato dagli stessi. Attraverso STM[4] invece è stato possibile osservare direttamente gli esagoni carbonio.
Combinando invece fullereni con nanotubi è possibile creare nanobuds (“nanogemme”). Queste strutture combinano di fatto le proprietà dei singoli nanotubi e dei fullereni. I fullereni quindi possono fungere da ancore molecolari per prevenire lo scivolamento dei nanotubi, incrementando notevolmente le proprietà meccaniche.
3. Proprietà
I nanotubi possono funzionare come “nanoprovetta”. È quindi possibile chiudere l’estremità di un tubo utilizzando un anello pentagonale in modo da far ricongiungere le due estremità. Queste speciali provette possono diventare permeabili a molecole gassose con un’opportuna dimensione, come ad esempio le molecole di idrgoeno.
Il relativo basso costo e la relativa facilità di produzione, unita all’abbondante quantità di materia prima presente, ne fanno uno dei migliori materiali adatti a rimpiazzarne molti altri. Infatti i nanotubi di carbonio sono estremamente versatili: hanno elevatissima resistenza meccanica e bassissima densità, oltre ad un’elevatissima mobilità elettronica. È quindi possibile sintetizzare composti leggeri ultra resistenti e materiali per l’elettronica, da display a circuiti integrati. Inoltre, grazie alla porosità intrinseca della struttura, essi possono fungere da setacci molecolari o come supporto per catalizzatori, oltre che punte particolari per AFM[5].
[3] Scanning Electron Microscopy e Transmission Electron Microscopy: due tipi di microscopia che utilizzano fasci di elettroni per analizzare un materiale. Nella prima il fascio rimbalza sul campione mentre nella seconda lo attraversa.
[4] Scanning Tunneling Microscopy (microscopia a scansione per effetto tunnel): microscopia che utilizza un particolare effetto quanto-meccanico che prevede il passaggio di elettroni verso stati di energia non consentiti a causa della bassa energia posseduta. La corrente di elettroni che si ha tra la punta del microscopio e il campione varia in base alla distanza tra di essi. Questa microscopia permette una mappa tridimensionale molto definita.
[5] Atomic Force Microscopy: microscopia che registra le interazioni tra la punta del microscopio e il materiale determinandone la superficie.
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4. Sintesi
Sono stati ideati differenti modi per sintetizzare i nanotubi di carbonio, ma ciò che accomuna tutti è un necessario processo di purificazione. I nanotubi sintetizzati presentano numerosi imperfezioni che li rendono di fatto inutilizzabili: il processo di purificazione diventa quindi obbligatorio per non avere decadimento delle proprietà del materiale. I metodi di purificazione presentano ulteriori problemi: essi sono si in grado di separare i nanotubi, ma hanno l’inconveniente di danneggiarli a loro volta. Per questo motivo l’utilizzo e gli studi di nanotubi sono limitati ad un numero ristretto di centri di ricerca. In ogni caso i prezzi sono diventati molto più bassi col tempo, scendendo fino a circa 80€ al kg contro i 1000€ al grammo delle prime produzioni.
4.1 Decomposizione catalitica[6]
Questa tecnica venne utilizzata per la prima volta nel 1993. Nel 2007 La University of Cincinnati sviluppò un processo per creare array di nanotubi di 18 mm di lunghezza.
Viene utilizzato un substrato con particelle di catalizzatore metallico (Ni, Co o Fe) scaldato a 700 °C: la dimensione delle stesse particelle è responsabile della larghezza dei nanotubi. Per iniziare la produzione degli array, viene fatto scorrere un flusso di gas di processo (NH3, N2, H2) e un gas contenente carbonio.
Le particelle metalliche quindi catalizzano la reazione di decomposizione del gas e permettono la crescita dei nanotubi. Queste particelle possono collocarsi all’estremità in crescita del nanotubo o alla base dello stesso, a seconda della forza del legame tra il metallo e il substrato[7].
Se si ha una quantità elevata di nanotubi in un’area ristretta, questi formeranno array perpendicolari alla superficie, formando un vero e proprio rivestimento allo stesso substrato.
Se al gas viene applicato un campo elettrico si può avere la generazione di un plasma, nel quale il nanotubo segue la direzione del campo elettrico. Manipolando il campo elettrico è quindi possibile creare nanotubi perpendicolari o paralleli alla superficie del substrato.
4.2 Laser ablation
La tecnica del laser ablation consiste nella vaporizzazione di un layer di grafite attraverso un laser pulsato in flusso di gas inerte. I nanotubi si sviluppano per condensazione del carbonio vaporizzato nelle superfici più fredde del reattore. La superficie può essere raffreddata anche ad acqua, permettendo un facile recupero degli stessi nanotubi.
Questo metodo di produzione è adatto per produrre MWCNT, mentre per i SW vengono utilizzati un foglio di grafite e particelle di catalizzatore metallico (Co e Ni). Il diametro dei nanotubi può essere controllato variando la temperatura di reazione. Purtroppo questo metodo è costoso.
[6] Decomposizione che utilizza un catalizzatore, ossia una molecola che abbassa l’energia necessaria a far avvenire una reazione.
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5. Applicazioni
5.1 TFT flessibili
Una ricerca in collaborazione tra la finlandese Aalto University e la Nagoya University giapponese per il NEDO (New Energy and Industrial Tecnology Development Organization) ha sviluppato una tecnica di produzione capace di produrre elettronica flessibile rapidamente e a basso costo. I primi prodotti commerciali infatti potrebbero arrivare già entro 5 anni: si parla di carta elettronica, display, RFID (Radio Frequency IDentification) e altri circuiti.
Le reti di nanotubi non erano mai riuscite ad offrire capacità paragonabili ai transistor composti da singoli nanotubi perché le proprietà conduttive si deterioravano nel processo di reticolazione. La maggior quantità di nanotubi con particelle metalliche infatti provocava si un aumento della velocità degli elettroni ma diminuiva il band gap, già molto piccolo nativamente.
I nanotubi metallici si adattano perfettamente alla produzione di TFT però offrono la mobilità elettronica che i classici materiali organici non hanno e la possibilità di poterli produrre a basso costo, cosa che non avviene con i TFT metallici.
Il classico metodo di produzione di TFT con nanotubi di carbonio prevede la sospensione all’interno di una soluzione mediante sonicazione. I nanotubi però diminuiscono la loro lunghezza e a causa delle impurità, la mobilità scende fino a 1 cm2/Vs, minore di quella dell’alluminio ed estremamente inferiore rispetto a quella del silicio.
Il differente metodo di produzione prevede la decomposizione catalitica come metodo di crescita dei nanotubi. Tramite un processo di filtrazione in fase gassosa a pressione atmosferica i nanotubi vengono trasferiti in un substrato polimerico, ottenendo lunghezze di circa 10 nm e assenza di impurezze. Utilizzando un 30% di nanotubi con particelle metalliche e utilizzando giunzioni ad Y anziché ad X che aumentano l’area di contatto, il valore di mobilità sale quindi a 35 cm2/Vs.
La filtrazione in fase gassosa permette l’impiego di qualsiasi substrato e i valori ottenuti sono pari a TFT di silicio policristallino o ossidi di zinco, utilizzando però tecniche più complesse.
5.2 Touch screen flessibili
Il Fraunhofer Institute, famoso istituto di ricerca creatore dello standar MP3 (Moving Picture Expert Group-1/2 Audio Layer 3), ha trovato un metodo per produrre touchscreen a basso costo, eliminando così il sempre più costoso ossido di indio-stagno.
Sostituendo i vetri ITO[8] con elettrodi di nanotubi di carbonio e polimeri si è quindi riusciti a creare un materiale capace di condurre basse correnti, flessibile, trasparente e dal costo contenuto.
I nanotubi vengono quindi uniti al PET[9] creando una rete in cui i polimeri conduttivi sono ancorati saldamente e in maniera elastica dai nanotubi. L’utilizzo di plastiche era stato già sperimentato, ma con scarso successo a causa del degrado dovuto ad umidità, stress meccanici e radiazioni elettromagnetiche. L’utilizzo di nanotubi previene tutti questi problemi.
Oltre ai classici touchscreen, le pellicole possono essere utilizzate nel campo del fotovoltaico per rivestire ad esempio i tetti delle case.
5.3 CMOS
I Complementary Metal Oxide Semiconductors sono largamente utilizzati per la progettazione di circuiti integrati e il rame può diventare ben presto la causa di colli di bottiglia nell’ottenimento di velocità sempre maggiori. L’utilizzo dei nanotubi prevede la sostituzione del rame, in modo da ottenere una maggiore mobilità elettronica.
La Stanford University, Toshiba e TSMC (Taiwan Semiconductor Manufacturing Company – la più grande fonderia indipendente di semiconduttori al mondo) hanno realizzato il primo chip CMOS da 11mila transistor ad una frequenza di 1 GHz grazie all’utilizzo di nanotubi di carbonio. I nanotubi utilizzati sono lunghi 5000 e hanno un diametro compreso tra 50 e 100 , con la possibilità di ridurre quest’ultimo fino a 1 nm.
Il CMOS è stato realizzato facendo allineare tramite corrente alternata i singoli nanotubi dispersi in soluzione.
Nei quarto ed ultimo capitolo verranno descritti i nanocavi, un’altra struttura simile al nanotubo ma con altre particolari proprietà.
Andrea F. Franchitti – Il_Metallurgico – HW Legend Staff