Recensione a cura di Daniele “KingpinZero” Fiorentini
Sequel spirituale di un famoso titolo “di lancio” del Super NES (Super Famicom, SFC, Super Nintendo, chiamatelo come volete), SolSeraph rispolvera quell’inequivocabile misticanza di generi, racchiusi in un pacchetto elegante e colorato, che era appunto ActRaiser. Sviluppato da ACE Team (Zeno Clash, Rock of Ages) e pubblicato da SEGA, SolSeraph si propone come un hack and slash a scorrimento, un “metroidvania” misto a Ghost’n Goblins, intervallato da semplici sezioni di Tower Defense/RTS, proprio come il primo titolo originale. Basterà una grafica semplice ma accattivante e l’innovativo sistema di gioco a tenere in vita il titolo nei nostri giorni?
ACT1: Raiser
ActRaiser fu un titolo curioso, arrogante, spavaldo e specialmente unico. Di solito da una console appena lanciata ci si aspetta due cose: o che i primi titoli non siano niente di che, vista la gioventù dell’hardware oppure che alcuni di essi siano talmente innovativi e eccellenti tanto da segnare in maniera indelebile l’avvio di una lunga permanenza sul mercato.
ActRaiser sicuramente ricade nella seconda ipotesi: Quintet riuscì a debuttare sulla nuova console di casa Nintendo con un titolo che mostrava ben chiaramente i muscoli della nuova nata: multi parallasse, giocabilità più che decente, un comparto sonoro indimenticabile ad opera del maestro Yuzo Koshiro (Shenmue, Streets of Rage, Shinobi, Dragon Slayer) e un aspetto grafico colorato e ricco di enormi ambientazioni, con sprite belli grandi e definiti.
Ma ciò che rendeva AR particolarmente “diverso”, era la tipologia di gioco: alternata alla sezione platform vi era una fase dedicata tutta alla costruzione, difesa e espansione della popolazione umana. Molte delle meccaniche impiegate in questa fase le ritroviamo direttamente in questo nuovo episodio, che non sappiamo definire esattamente come sequel, reboot o remake.
Ad ogni modo, il nostro compito era fare in modo che la civiltà prosperasse in maniera sicura e tranquilla, lasciando il compito di proteggere la stessa da diverse tipo di minacce. E qui ci ricolleghiamo a SolSeraph: quanto è cambiato di ciò che ActRaiser ha stabilito e quanto è rimasto invariato? Beh, è cambiato veramente poco dal modello originale del titolo di trent’anni fa e questo è un bene.
Il Serafino del Sole
Come per il titolo dove da tutto iniziò, siamo una divinità chiamata Helios (mentre in AR, ci chiamavamo semplicemente The Master), in grado di fronteggiare molte pericolose minacce, eseguire miracoli e quant’altro. In un mondo creato dalla collisione di notte e giorno, ci troveremo a rispondere del gravoso compito di assicurarci la prosperità della razza umana, grazie al nostro intervento: l’azione, come detto poc’anzi, segue il format del titolo originale, ossia livelli a scorrimento orizzontale intervallati da “semplici” livelli conditi con un pizzico di strategia e tower defense in cui avremo a disposizione diversi “miracoli” da utilizzare per tenere a bada i nemici. In pratica, con una comoda visuale dall’alto, dovremmo volare da nuvola in nuvola per raccogliere mana (proseguendo nel gioco sbloccheremo, ovviamente, potenziamenti che permettono l’estensione ditale capacità ed altre) da usare su terreni fertili per generare cibo; allo stesso modo dovremo procurarci del legno per costruire le strutture e così via.
Le ondate dei nemici una volta iniziate non si arresterannomai, ma è possibile mettere in pausa l’azione per aiutarci a pianificare meglio i prossimi passi da eseguire; ovviamente sono presenti anche strutture difensive che aiutano a rallentare l’orda e in caso di piazzamento sbagliato di un elemento, è possibile riciclarlo per riottenere una parte dei materiali (che non scarseggeranno mai). Tuttavia, oltre ad assicurarci una prosperosa popolazione di grati fedeli, l’obiettivo ultimo è quello di arrivare a costruire templi sacri che siano alla portata dei dungeon nemici: sarà possibile quindi intraprendere l’ultima vera fase del livello, ossia la sezione platform/hack and slash alla “metroidvania” che tanto ha reso celebre l’originale.
In queste sezioni, che sono un po’ il punto focale del titolo, ci aspetteranno layout particolarmente aggressivi e complessi, in grado di insidiare il giocatore assopito dalla nuova concezione di videogioco. Infatti, così come accaduto per Cup Head, queste sezioni sono dei chiari, limpidi e maledetti richiami algenere platforming ostico e preciso al pixel, tipico degli anni ‘80 e ‘90, di quello apprezzato in titoli come Rastan, Ghouls’n Ghosts, Ghost’n Goblins, Megaman, Rygar e così via. Procedendo nei livelli sarà possibile accrescere la propria health bar, rendendo di poco la vita più facilee permettendovi di sbagliare con una certa tranquillità.
E’ da apprezzare, comunque, la semi-ripida curva di difficoltà iniziale che, a parere mio, non è esagerata e né così tanto complessa; la vera riflessione è quanto siamo diventati pigri a differenza di trent’anni fa, quando coordinazione occhio-mano e riflessi erano requisiti fondamentali per proseguire in un gioco. In sintesi i livelli a scorrimento sono piacevoli e sono il vero motore del gioco; varietà e ambientazioni fanno da padrone, la possibilità di usare spell e armi differenti rendono l’azione poco monotona e l’aggressività dei nemici, misti a pattern particolarmente fastidiosi, vi indurranno a pensare bene a come muovervi.
Dall’Alba al Tramonto
Il nostro cavaliere dell’alba non si sentirà mai in grandi difficoltà. Forse sfruttando anche la scusa della “divinità” come status, il gioco non presenta mai sezioni difficili o apparentemente impossibili, tutt’altro: possiamo considerare la modalità strategica abbastanza lineare, anche perché i compiti saranno sempre gli stessi, giusto un poco ingranditi dal punto di vista delle zone da governare, mentre quelle platform come detto premiano più la precisione e l’attenzione, ma di pari passo diventeranno meno preoccupanti grazie agli upgrade.
L’interazione con gli NPC/abitanti e compagnia assortita è limitata a “spiare” i loro pensieri e le loro discussioni tra popolani, contenendo di fatto quest’aspetto che rimane in linea con l’originale, seppur limitato. Tirando le somme, ci troviamo davanti un titolo poco pretenzioso ma divertente, che incarna lo spirito del titolo 16bit nei migliori dei modi, con un aspetto indubbiamente moderno ma che non stacca mai l’essenza dell’originale.
Le note negative, probabilmente, possiamo trovarle in una produzione ovviamente di poco budget, anche se fa bene quello che deve; nonostante tutto gli sviluppatori sono riusciti a riproporre una formula originale e mai più esplorata, che probabilmente sarebbe potuta diventare ancora più importante e ambiziosa con il giusto contributo economico.
In conclusione…
SolSeraph sarebbe da giocare solo ed esclusivamente per il suo modo “puro” e old-style di intendere il divertimento, proprio come era trent’anni fa, senza meccaniche iper complesse e aspetti da tripla A, dove sembra che la complicanza sia l’ordine del giorno.
Se volete gettarvi a capofitto in un prodotto dal sapore malinconico, capace di farvi risalire quel tiepido sorriso, spensierato e giovane di serate passate davanti alla console (quando la vita era molto più semplice), sapete come spendere i vostri soldi.